La necessità della speranza
Mai come in questo periodo ci sentiamo spronati a sperare: si è provato a cantare sui balconi, dandosi appuntamento, per sentirci in qualche modo uniti, anche se lontani, a volte anche dagli affetti più cari; abbiamo visto ovunque, per strada, alle finestre, sui social, cartelli con scritto “Tutto andrà bene!”. Eh sì, perché l’uomo ha sempre, e in particolar modo nei momenti più difficili, il fortissimo bisogno di sperare, per poter andare avanti. Avere speranza ci dà forze particolari, come la capacità di persistere, quando la fiducia inizia a vacillare, e la fermezza necessaria per superare gli ostacoli.
A questo punto, conosco bene la reazione delle persone più razionali, quelle che dicono di avere i piedi ben piantati per terra: “Figuriamoci! Tutte sciocchezze! Siamo in una tragedia epocale! Soli gli illusi possono sperare, è già tanto uscirne vivi”. E d’altronde, anche la saggezza popolare dei proverbi non dice: “Chi di speranza vive, disperato muore”?
Ecco che siamo arrivati al punto: ho parlato di speranza, non di illusione! Vediamo insieme le differenze. Anche se può apparire strano è proprio il modo in cui si considera la realtà a diversificare la speranza dall’illusione.
La principale caratteristica di chi si illude, infatti, è quella di non accettare la realtà: ci si crea allora una realtà parallela, più rassicurante, consolatoria, in un certo senso magica. Magica perché, partendo da un sogno, costruisco la mia visione del futuro su un errore, vale a dire su come mi figuro stiano le cose e non su come stanno veramente. I motivi che spingono a fare ciò possono essere molti, ma, a mio avviso, il principale è la paura, paura di non riuscire a reggere emotivamente ciò che mi circonda, paura di non possedere gli strumenti necessari per poter superare una difficoltà concreta. Così è più comodo mascherarla. È evidente che questa strada non porta da nessuna parte, o meglio, porta alla rovina, alla disillusione, con conseguente crescita della paura e della paralisi che ne consegue.
La forza della speranza
La speranza, invece, parte proprio dalla realtà.
Chi è capace di sperare sa che la realtà non ha un’interpretazione univoca e oggettiva, come i cosiddetti realisti credono, bensì ciascuno di noi legge i fatti che si trova a vivere con il proprio personalissimo paio di lenti colorate. E il colore è dato dalla nostra storia, dalle nostre credenze, dai condizionamenti in cui siamo cresciuti.
Chi spera parte da questa consapevolezza e si impegna a vedere gli aspetti costruttivi di ogni situazione e fa leva su questi per delineare il suo futuro. Quindi la speranza è una forza dinamica, che attiva tutte le nostre capacità.
Chi spera non vuole annientare le emozioni spiacevoli, come vorrebbe chi si illude, ma le fa convivere con quelle positive e trova il modo di far prevalere queste ultime.
Chi spera è un ottimista, cioè percepisce la situazione negativa come una sfida da affrontare con coraggio e determinazione: si rende conto che non va tutto bene (come pensa l’ottimista ottuso), ma confida di essere in grado di sistemare le cose al meglio, imparando dalla situazione difficile nuove abilità.
E allora, come si può rinunciare a sperare?
Non voglio dimenticare l’estrema obiezione dei più irriducibili: “Ma il mondo va così male, che il mio agire è ininfluente per cambiare la situazione!”.
Di fatto non funziona proprio così: pensate a cosa accadrebbe se ciascuno di noi passasse da osservatore critico e disperato dei mali del mondo a fare con impegno del proprio meglio per migliorare il piccolo mondo intorno a sé. Questa è la chiave e l’unica vera arma che abbiamo a disposizione, e che ci permette di uscire dalla modalità di vittima per tornare a essere protagonisti del nostro presente.
Sicuramente tutto cambierebbe e questa è la sfida che il virus Covid 19 ci invita a cogliere!