Chi di voi non ha terminato la frase con “i duri cominciano a giocare”?
Dal lontano 1954, quando pare sia stata usata per la prima volta dal coach di football americano Frank Leahy, per spronare i suoi giocatori prima di una partita difficile, queste parole sono diventate un motto usato spesso anche nei discorsi di incitamento dei politici.
Così in breve tempo è diventato di uso comune in America e, dopo che questa espressione fu usata in Animal House da John Belushi, varcò l’oceano insieme al film, tradotta in moltissime lingue.
Eh, sì, perché stimola ad affrontare gli ostacoli e le difficoltà, mettendo in campo forza, audacia e determinazione. Anche noi ora stiamo vivendo un momento molto sfidante: alle difficoltà dell’economia (molti settori si sono trovati nell’impossibilità di sostenere restrizioni così prolungate) si è aggiunta una sorta di disorientamento, che ha amplificato la paura e quasi annullato la speranza, vista come pia illusione. Certamente il gioco si è fatto decisamente duro.
Ma siamo veramente sicuri che forza, coraggio, determinazione siano caratteristiche che appartengono solo ai cosiddetti duri? In realtà ritengo che questo sia proprio un luogo comune, che è giunto il momento di sfatare.
Durezza vs flessibilità
Quando pensiamo a un “duro”, vediamo una persona focalizzata sul risultato, che non guarda in faccia nessuno, che bandisce le emozioni, giudicandole debolezza. Ok, tutto ciò è sicuramente funzionale, quando la partita è giocata da un singolo. Ma si può dire lo stesso, quando la sfida è affrontata da un team o, in modo più ampio, da un’organizzazione?
Le analisi condotte in questi anni riguardo alle caratteristiche che rendono di successo un Manager e, di conseguenza un’organizzazione, evidenziano l’importanza delle competenze relazionali: capacità di ascolto, empatia, accoglienza. Quelle che fino a poco tempo fa erano ritenute non qualità, ma segni di debolezza e fragilità, che avrebbero portato a un indebolimento della figura del capo, sono emerse oggi tra le più importanti competenze trasversali di un Manager. Paolo Iacci, docente di Gestione delle Risorse Umane all’Università Statale di Milano, sostiene che “la gentilezza rientra nelle strategie di marketing delle aziende e fra le soft skills personali che aiutano a far carriera”.
L’opposto, quindi, dell’autoritarismo e della durezza! Si è finalmente compreso che le persone danno il meglio di sé e sono molto più motivate sul lavoro, quando vengono soddisfatti i propri bisogni e le proprie pulsioni naturali, che sono oltre alla sopravvivenza (certamente lavoriamo per lo stipendio, che ce la garantisce!), essere se stessi (lavorare con autonomia e creatività), crescere (imparare cose nuove e diversificare la propria attività) e appartenere (cooperare in sintonia e sentirsi a casa anche sul luogo di lavoro). I talenti migliori si fermeranno a lavorare per le aziende i cui Manager hanno scelto di praticare tutte quelle soft skills che fanno diventare l’azienda un vero e proprio “great place to work”.
Il Counseling in azienda si rivela allora un utilissimo strumento per accompagnare anche i Manager a riscoprire e valorizzare emozioni, empatia, capacità di ascolto, che forse erano state tenute troppo a lungo sotto traccia, perché ritenute più un problema che una risorsa.